
L’invidia è uno dei vizi tra i più complessi da definire per i teologi e i pensatori del Medioevo. Tale caratteristica si riflette in tutta l’opera dantesca, dove all’invidia e agli invidiosi è dedicato ampio spazio. Non solo alcune figure emblematiche della Commedia sono affette da questo male atavico dell’uomo (Caino fu il primo essere vivente a soffrire l’invidia), ma il pensiero dantesco è particolarmente sensibile al peccato, peste per eccellenza dei luoghi urbani. L’invidia è la velenosa pianta germinante che attanaglia la vita di corte e quella universitaria: ma Dante nel rappresentare gli invidiosi è tanto lontano quanto più pervicace di un Boncompagno da Signa, per esempio, che raffigura il peccato come un mostro a più teste. Nessuna straordinarietà concessa agli invidiosi (o quasi), ma piuttosto la storia di una donna senese semi-sconosciuta, Sapìa, con l’evidente scopo di attribuirle e svilupparne il ruolo di minimo comun denominatore, al fine di valorizzare l’universalità dello stesso vizio.
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Lingua
Italiano -
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Sull'autore
Paolo Rigo
Paolo Rigo è ricercatore presso l’Università degli Studi Roma Tre, dove insegna Letteratura italiana e Letteratura italiana medievale. È autore di diverse monografie, i suoi interessi spaziano da Dante alla letteratura contemporanea. È Chercheur associé presso il CERLIM dell’Université Sorbonne Nouvelle e Research Affiliate del Center for Italian Studies dell’University of Notre Dame. È stato Visiting scholar presso l’Université de Tours e presso l’Albert- Ludwigs-Universität Freiburg.