Figlio di cane

Figlio di cane

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Una panchina. Due uomini. Siedono uno con le spalle all’altro, come sui due lati di un nastro di Moebius. Si parlano, ma non si raggiungono, una parete sottile li separa. Uno interroga la propria memoria lacunosa. L’altro ha fame e vorrebbe diventare un cane. Sulla scena che tiene insieme il loro impossibile essere contemporanei, il loro incontro mancato, nevica, come il 18 febbraio 1978 nevicava a Parigi, mentre gli strilloni diffondevano la notizia che la notte prima l’esercito cinese era entrato in Vietnam. Da un dialogo d’ombre risorgono la figura e le parole di Vladimir Slepian, artista e scrittore “senza opera”, cinico vagabondo del pensiero nella Parigi degli anni Settanta che, fuggito dall’Unione Sovietica, pubblicò un unico racconto, Fils de chien, venne accolto nelle pagine di Mille piani di Deleuze e Guattari e poi si dileguò nella sua stessa leggenda.

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Sull'autore

Attilio Scarpellini

Attilio Scarpellini è critico di teatro e saggista, da diversi anni racconta immagini ai microfoni di Radio Rai 3. Ha scritto L’angelo rovesciato. Quattro saggi sull’11 settembre e la scomparsa della realtà (Roma, 2008) e con Massimiliano Civica, La fortezza vuota. Discorso sulla perdita di senso del teatro (Roma, 2014). E autore della voce “Teatro” del III volume dell’Enciclopedia delle arti contemporanee. I portatori del tempo curata da Achille Bonito Oliva. Insegna “Drammaturgia dell’immagine” alla Scuola di alta formazione per la danza Da.re.

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